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Umberto Eco, Dante Alighieri e la Kabbalah dei nomi

  • Ilenia
  • 21 mag 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

Nel 1993, edito per Laterza, esce il libro La Ricerca della Lingua Perfetta nella Cultura Europea di Umberto Eco: qui lo scrittore ripropone un viaggio attraverso il pensiero medioevale alla ricerca delle radici dello sviluppo del linguaggio.

L'ebraico, la lingua delle sacre scritture, era considerata la lingua primordiale, quella che per prima era stata il veicolo delle relazioni tra i nomi e le cose, tra significante e significato.

Egli evidenzia il nesso che si è creato nel medioevo tra le lettere dell'alfabeto ebraico e le forze soprannaturali, le quali trovano potere nelle lettere che sono capaci di produrre nuove realtà e nuovi universi.

Eco vede nello sforzo dei padri della chiesa l'integrazione dei principi della fede cristiana con il pensiero neoplatonico del XII secolo,il quala a sua volta, era influenzato dalla Kabbalah ebraica.

Questo intreccio rafforzava l'interesse verso le lettere dell'alfabeto ebraico e di conseguenza a una nuova lettura allegorica e mistica dei testi sacri.

La tesi dello scrittore è rivoluzionaria poiché ritiene importante l'interazione tra il pensiero ebraico e quello cristiano, in quanto pone l'attenzione sui legami intracomunitari tra ebrei, cristiani e mussulmani durante il XIII secolo nei paesi mediterranei nord-occidentali: su questa base entra in gioco il Paradiso XXVI di Dante Alighieri.

Eco vede nell'opera dantesca un'influenza della Kabbalah dei nomi di Abraham Abulafia, considerato uno dei maggiori studiosi della Kabbalah dell'epoca medioevale, il quale suggerisce che si può costituire un alfabeto finito che produce un numero vertiginoso di combinazioni;questa tipologia cabalistica viene praticata recitando i nomi divini che il testo della Torah nasconde, giocando sulle varie combinazioni delle lettere dell'alfabeto ebraico: in sostanza altera, scombina,decompone e ricombina il testo nella sua struttura sintagmatica fino alle lettere dell'alfabeto in un processo di ricreazione linguistica continua.

Dante dunque si rifà a questo pensiero in un certo senso, in quanto -come Abulafia- sostienr che il dono delle lingue è una consegna di una forma locutionis, ovvero di un linguaggio come matrice generativa affine all'Intelletto Attivo, cioè alla sapienza divina caratterizzata da un insieme di regole per la costruzione di lingue diverse.

Come Abulafia, Dante è dell'idea che l'uomo possieda l'attitudine al linguaggio, ma solo tramite un'educazione degli organi fonatori che si stabilisce per apprendimento.

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Vi sveliamo subito la "materia" per la quale stiamo scrivendo ora: storia ed evoluzione della lettura e dei modelli editoriali. Cosa c'entra un blog con una materia così... seria? È qui la sfida.

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